Amnesia digitale e Google effect, alcune considerazioni su un fenomeno devastante per l’apprendimento
Secondo Sparrow (2011) affidarsi ai motori di ricerca e dispositivi elettronici può essere una forma di “memoria transazionale” che implica una determinata codifica, immagazzinamento e recupero della conoscenza condivisa tra membri di una comunità (Wegner, 1985). Una sorta di memoria estesa, un deposito condiviso. Il riferimento a Wegner riguardava comunità di persone ma possiamo considerare un motore di ricerca pervasivo come Google una memoria condivisa?
Certamente vanno considerati alcuni fattori interessanti che ci portano a riflettere su un fenomeno complesso che coinvolge tutti ma principalmente giovani. Affidare ad un dispositivo elettronico la memorizzazione di tutto, dati, rubriche telefonico, scattare foto di tutto ciò che vogliamo memorizzare, avere cartine per andare in qualsiasi posto, di certo porta ad una rinuncia alla memorizzazione nel nostro cervello. Di fatto abdichiamo la nostra memoria ad un dispositivo elettronico. Ancora più in generale rinunciamo alla nostra memoria in favore di un motore di ricerca che ci dirà anche le informazioni più banali come una tabellina, un indirizzo che dovremmo conoscere, una nozione che ogni persona dovrebbe fare propria.
Anche la ricerca di informazioni attendibili spesso è avulsa da cattive pratiche ormai indotte dalla falsa possibilità con cui queste possano essere reperibili.
La settimana scorsa mi sono trovato a confronto in una intervista on line con una studentessa. Questa ritenendo di poter avere tutte le informazioni a portata di mano, “googlava” parole chiave e leggeva risultati posti in prima pagina come verità attendibili. Ecco, la studentessa era consapevole di poter avere una marcia in più cercando informazioni e in pochi secondi argomentandole alla buona senza essere capace di fornire dati sulla loro attendibilità. Men che meno si poteva dire che lei avesse chiare quelle conoscenze. Semplicemente ricordava forse che ci fossero informazioni di quel genere ad ha attinto alla “memoria collettiva” per farle proprie in quei minuti.
Ecco, cosa ricorderà quella persona il giorno dopo? Sicuramente in qualche altra discussione avrà avuto la stessa necessità di digitare parole chiave e leggere i risultati. Per qualche minuto mi è sembrato di confrontarmi con una macchina e non con un essere umano dotato di intelligenza.
Durante le mie prime esperienze da programmatore negli anni 90, quando internet non era così pervasiva, avevo la forte necessità di ricordare molto bene comandi, codici, linguaggi di programmazione per poter scrivere programmi più velocemente possibile. La memoria era ben allenata poiché si esercitava in un grande sforzo mnemonico di scrittura e riscrittura di migliaia di righe di codice. Man mano sono apparsi i primi editor che consentono di scrivere del codice e di vedere dei suggerimenti sintattici che ci aiutano, un po’ come avviene quando scriviamo un messaggino. Ecco, man mano la mia memoria è venuta meno , affidandosi al suggerimento del momento.
E così avviene anche con la grammatica. I controllori sintattici integrati nelle tastiere dei cellulari che si preoccupano di correggere, ci consentono di capire quando una frase non va bene e così noi non abbiamo la necessità di verificarlo personalmente. E’ risaputo, infatti, che alcune forme errate che tali controllori ci propinano sono considerati da diversi utenti come verità assolute. “Se lo dice il computer, allora è corretto”.
Anche i navigatori cartografici ormai di serie nelle auto ci consentono di non ricordarci più i percorsi e le strade. Basta affidarsi a loro. Ma cosa succederebbe se per un attimo ne fossimo sprovvisti? Cosa succede se si scarica la batteria del nostro cellulare? Ricordiamo a memoria qualche numero da chiamare con un altro cellulare?
L’uso spasmodico degli strumenti ci porta di fronte ad un grande interrogativo: come sarà la nostra mente fra qualche anno? Si atrofizzerà di fronte al fatto che non saremo costretti a ricordare neanche il nostro personale numero di telefono? Oppure svilupperemo una nuova forma di memoria transazionale che consiste nel conoscere il luogo dove si trovano le informazioni piuttosto che le informazioni stesse e poi connetterle abilmente tra di loro?
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2020/11/effetto-google-amnesia-digitale/